La contrabbanda a Su Tzirculu per i vent’anni di Marina Cafè Noir
Alla fine ho detto basta. Basta con il lavoro, basta con lo studio, basta con quella stronza che mi condiziona la vita e poi non ci dormo la notte. Ieri mattina le ho detto che dopo l’ultimo scherzo che mi aveva tirato avevo bisogno d’aria e che me ne sarei andato in viaggio. Lei, anziché chiedermi scusa come avrebbe dovuto, mi ha mandato a quel paese. E allora, per dirla con Caparezza: “prego, per andare affanculo da quella parte!!”. Apro il mac e guardo i voli, ce n’è uno per Cagliari. Bella la Sardegna, mi dico, voglio tornarci. Lo prendo. Chiamo il B&B dell’altra volta: la signora Lucia, una ex insegnante di lettere sessantottina e intraprendente, mi risponde con la solita voce squillante: “La aspetto per le 17 Stefano. Sarà di nuovo un piacere averla ospite da noi”. Da un po’ di anni ormai per tutti sono Steve e non mi fa un bell’effetto quando qualcuno mi chiama con il mio vero nome, ma per la signora Lucia faccio un eccezione perché mi ricorda la mia prima vicina di casa di Roma.
Mi sistemo nell’alloggio che avevo l’ultima volta, prendo zaino, cuffie e telefono e vago per la città. Tempo incerto ma camminabile, anche se si sta facendo buio. L’ultima volta che sono stato a Cagliari era luglio e con Manuel siamo andati in un posto sul bastione Saint Remy da cui si vede tutta la città. Non ricordo il nome del locale, Libarium o qualcosa del genere, un posto con un bar piccolissimo all’interno che dava su una porticina su una stradina poco trafficata. La gente entrava e usciva e, attraversando il pavè con il bicchiere in mano, andava verso i tavolini al di qua del muraglione che guarda dritto al porto. Uno spettacolo! Di quella sera l’unico brutto ricordo è il caldo opprimente e il fastidio per la camicia sudata. Stavolta però non ho guide: Manuel è a Bologna per quella faccenda del secondo server hackerato e vago solo per la città. Forse mi sono perso, non tanto con me stesso che sarebbe pure un bene per come sto oggi, ma proprio qui tra le stradine tutte uguali. Mi accorgo che devo aver sbagliato strada mentre scendendo mi lascio alle spalle la parte vecchia della città. Non me ne importa molto: oggi è per me, va bene così. Per una sera ho bisogno di dimenticarmi di tutto tranne che di Steve. Il mio stomaco si fa sentire ma rimedierò qualcosa, per ora la fame che mi guida è quella del ritrovarmi. Cammino in un viale che costeggia un muraglione che sembra di una di quelle vecchie ville di inizio ‘900, invece leggo da un cartello che c’è dentro un parco, si chiama Monte Claro. Cammino ancora. Alberi poco curati al centro della strada, farmacie e una piadineria che emana ammalianti effluvi di pane caldo. Svolto in una strada che sale, via Trentino, attirato da un grande cancello aperto in cima alla salita e subito sento odore di officina meccanica; pochi metri più in là vedo l’insegna Magneti Marelli che campeggia sopra una saracinesca abbassata. La luce gialla e Blu illumina la strada a malapena, mentre sono costretto a saltellare tra le merde sul marciapiede. Che schifo! Ve la farei mangiare la torta del vostro cane: maledetti incivilinofili. Gli annunci sfrangiati sui pali dei lampioni e le 100 copisterie sulla stessa strada mi dicono che mi trovo nella zona universitaria. Un annuncio mi attira: La contrabbanda suona stasera in un locale, alle 22.45, per il ventennale del Cafè non so bene cosa. Rifletto sul nome, che mi piace, e mi incuriosisco. Nella foto c’è un tizio in giacca e cappello nero immortalato di spalle su un palco. Googolo il locale e scopro che è qui vicino. Ho deciso: oggi serata! Alle dieci e mezzo mi presento in questo posto, Su tzirculu si chiama.
Indigeni fuori fumano sigarette alternative, qualche ragazza vestita anni ’90, facce tranquille e nessun risvoltino. Promette bene. Entrado vedo il bar illuminato e ragazze carine che servono da bere al banco, lo attraverso senza fermarmi: avrei sete, ma non voglio bicchieri in mano perché la serata si preannuncia movimentata. Ho scoperto che in passato La Banda ha fatto scatenare balli e pogo in pista e l’ultima cosa che voglio è puzza di birra addosso. Mi piazzo poco sotto il palco, defilato, ma vedo tutto. Un paio di coppie bevono e parlano davanti a me, si ride, mi sento rilassato ma alzo comunque le antenne perché non sono a casa. Shhhhh, comincia.
Una voce registrata annuncia La Contrabbanda mentre sul palco vuoto strumenti musicali caldi attendono una stretta di mano. Nella penombra vedo un sax baritono e un altro ottone lungo simile al clarinetto, probabilmente un altro sassofono e una batteria jazz; un basso elettrico, una tastiera sul fondo e un’asta con un fiocco legato in cima. Luci rosse inondano il palco. Entrano 5 ragazzi in giacca nera e cappello; sul saluto del frontman che ho visto sull’annuncio parte Buonasera signorina nella versione swing di Buscaglione. Il cantante è smilzo ma agile e salta come un grillo: ha in mano due bacchette da tamburo, batte il tempo mentre canta e non si leva la giacca nonostante goccioli come un rubinetto aperto. Trascina il pubblico e infila una dietro l’altra Perduto amor, Baciami piccina e Marilù, e mentre il pubblico comincia a scaldarsi, a me torna in mente Arigliano allo Zelig e il Trio Lescano. Mi avvicino ad una bella riccia davanti a me e scopro che la voce della Contrabbanda si chiama Massimo Cau, un sardo d.o.c., che ora ruota a scatti una raganella come fosse un cubo di Rubik mentre si fa portare dalla sezione ritmica. L’eccitazione aumenta seguendo ritmi spinti e, dopo Amore che vieni amore che vai di De Andrè, arriva uno swingheggiante Tango delle capinere che fa cantare il pubblico a tempo sulla parola “godere”. Qualche urlo dopo i fan rispondono invece con “si señor” ad Eso es el amor, in un movimento musicale ritmato da Cau e i suoi che porta dritti dritti a Quizas, il bolero di Ferrarès. Un minuto dopo s scatena il sax di Emanuele Contis su Mambo italiano e Tu vuò fa’ l’americano facendo brillare Carosone nella sala buia. Il gruppo di ragazzi davanti a me, che ha tutta l’aria di saperne parecchio del gruppo sul palco, a voce alta scherza sul dualismo Carosone-Carotone, ma probabilmente non sa che “l’americano” Carotone l’ha cantata per davvero con Carosone nel 2001. Mio padre, che ancora oggi parteggia per lui, dice che Tonino è un genio, come Battiato ai tempi della psichedelìa. Passa Io sono il vento in una bellissima versione veloce che mi fa battere il cuore ricordando l’originale cantata da di Mina almeno 10 anni fa. Cau ad un tratto fa uno stop e insieme al tastierista Andrea Cocco intona Hava Nagila, che non conosco bene, un canto popolare credo, ma vedo che il ritmo ha un incremento troppo veloce e capisco che è solo la rampa di lancio per un’altra perla di Buscaglione, ‘A coda ‘e cavallo che serve per agitare di nuovo il pubblico assetato di ballo. A proposito di sete: il bar alla mia destra è pieno zeppo di gente con l’Ichnusa in mano e tutti si divertono. Oggi mi è andata proprio bene, un’altra conferma che Cagliari è una città in cui vivrei. Bella la gente, almeno qui, belle le iniziative, bella la vita. È quasi domani e penso che non sarebbe male un bicchiere di rosso per andare incontro come si deve all’alba di sabato. Ci sarà un posto qui intorno che mi accontenti? Vedremo. Peccato per quella riccia davanti a me che è proprio carina e l’avrei invitata, ma la vedo abbracciata ad uno spilungone rasato ed entrambi hanno un anello al dito, mi sa che non è il caso.
È mezzanotte passata e sento che la festa sta per finire, mi devo dileguare. Non sopporto la fiumana di gente che esce dai locali alla fine di uno spettacolo: tutti si accalcano alla porta per quella sete d’aria, come se non avessero respirato fino a quel momento. Esco prima di tutti; stavolta dal palco sono le note di Kalinka a segnare il ritmo alle gambe del pubblico. Uscendo vedo molte barbe bianche e qualche ruga, ma sul finire di questa serata commemorativa ho scoperto che il Marina Cafè Noir è un’istituzione per la cultura qui a Cagliari e che da oltre vent’anni qui si celebra l’amore della gente per chi fa arte in tutte le sue forme. Mi assomiglia. Sarà che oggi sto respirando un po’, ma mi piace e penso che tornerò. Ora però devo andare: vino rosso rimandato, domani ho il volo e la signora Lucia sarà in pensiero.
Nota postuma
Manuel qualche giorno dopo mi ha detto che, come il Marina Cafè Noir, anche La Contrabbanda è un’istituzione a Cagliari. Al telefono mi racconta che la formazione è quasi sempre la stessa e che che quella sera insieme a Massimo Cau, Emanuele Contis e Andrea Cocco, c’erano anche Fabio Useli al basso e Roberto Migoni alla batteria, tutti maestri di musica per passione e qualcuno anche per professione. Semplicemente straordinari, penso. Il peccato più grande è stato sapere da lui che la performance dell’altra sera è stata solo una rentrèe per l’occasione dei vent’anni di Marina Cafè Noir, ma che in realtà l’attività della Banda, gloriosa in passato, pare essersi definitivamente esaurita. A questo punto penso ancora di più di essere stato fortunato a capitare aSu Tzirculu quella sera. Grazie Cagliari, a presto.